Percorrendo l’itinerario (SP 206) che da Pavia porta a Vigevano, nella valle del Ticino, ci si imbatte in un paese dimenticato (frazione Sforzesca di Vigevano). Non considerando l’abitato vero e proprio che non ho visitato e sicuramente sarà ricco di villette moderne e ben tenute, il quadrilatero di vie che circonda la Sforzesca sembra uscito dal nostro immaginario cinematografico
e potrebbe appartenere ad un film western, con quella sensazione di impolverato e diroccato onnipresente. Ad accentuare ancora di più lo straniamento è la luce del mezzogiorno nell’agosto rovente del 2022. Sono invece capitato in un luogo della storia. Si tratta della cascina Sforzesca di cui avevo sentito parlare al Mulsa (Museo Lombardo di Storia dell’Agricoltura collocato presso il castello di Sant’Angelo Lodigiano – Fondazione Bolognini) dove è presente un modellino in scala. Forse è proprio quello che mi ha indotto a riconoscere il luogo. Non certo la cartellonistica turistico – culturale. A dare la certezza che sono proprio lì è poi il grande cartello del ristorante che dagli eventi storici ha preso il nome, <<Ristorante Ludovico il Moro>>, che s’impone per dimensioni rispetto al modesto cartello di segnalazione turistica, da cui apprendo che il vero nome della cascina è “Il Colombarone”. Mi lascio attrarre dalla costruzione antica, invece che dal cibo, e scopro una cascina disegnata in un rettangolo ben definito.
A far la differenza rispetto ad una comune cascina è l’ampiezza (il perimetro è decisamente fuori dell’ordinario) e le decorazioni dei colombaroni, le torri, arricchite come un castello con decori murari e finestre gotiche e romaniche, provviste di robuste sbarre e circondate da fregi e greche medioevali. Purtroppo, non mi è consentito entrare, la scoperta è casuale e non programmata per un qualche servizio giornalistico. Si vedono sui due lati principali gli ampi portoni. Da uno di essi si intravvede un’aia gigantesca. Attorno, all’esterno, trovo solo un ragazzo che fa foto qua e là con il telefono. Non ha l’aria di un turista sembra abitare lì, pur essendo arrivato da lontano per lavorare nella campagna pavese, ma di voler esplorare i dettagli del luogo e così fotografa fiori e crepe.
Dopo un’ulteriore circumnavigazione, sulla destra rispetto all’entrata, trovo una lapide, quella sì veramente storica. La scritta in latino fissa l’origine della costruzione e la volontà dei committenti di rendere fertile una terra arida ponendovi al centro una imponente villa. Mi attacco ad Internet e scopro che “la Sforzesca” fu un ambizioso progetto di Ludovico il Moro che prese tutta una serie di possedimenti, campi agricoli, parte di una tenuta di caccia, primitivi edifici rurali e li unificò cintandoli con le mura che ci sono ancora oggi.
La cascina venne completata nel 1486, quindi poco prima che Cristoforo Colombo scoprisse l’America ed è importante come prototipo della famosa cascina Lombarda di cui ho scritto tante volte, visitandone una qua ed una là, soprattutto nel Lodigiano. Wikipedia si mette in cattedra e ci propone tutta la storia della cascina, ma non mi sembra il caso di riportarla. Non può sfuggirmi però che quella stessa terra dove sto camminando ora è stata calpestata un tempo da Leonardo da Vinci per realizzare opere di canalizzazione e studiare opere agrarie. Tra le altre cose qui Leonardo progettò il “mulino della Scala” (anche questo visibile in modellino al Mulsa) ed è più facile andare a Sant’Angelo ad ammirare i modellini anziché tentare di consultare il codice Leicester detto anche il codice H, da Hammer, di Leonardo da Vinci, gelosamente custodito in qualche cassaforte, visto che è stato acquistato da Bill Gates per la sua collezione privata.
La cascina Sforzesca è sicuramente un luogo da scoprire, anche solo dall’esterno e credo che ad affascinarmi a posteriori sia stato proprio la sua etichetta di prototipo. È stata un modello per tante cascine Lombarde ed è modello di lento abbandono oggi.
Si difende bene rispetto alle tante immagini che inevitabilmente mi colpiscono gli occhi e la fantasia quando viaggio nel Lodigiano e che fingo di non vedere per non guastarmi la giornata: mura incrostate e cadenti, rosoni crollati, tetti sfondati, aie dimenticate, ma la Sforzesca segue purtroppo, per fortuna più lentamente, la stessa triste strada ed eleggerla per un anno luogo del cuore del Fai ha potuto produrre solo un piccolo, prezioso restauro. Ci vorranno tante giornate del Fai e molto di più per traghettare le cascine della pianura Padana nel 3000.
Cristoforo Vecchietti
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